Microplastiche nel corpo: cosa mangiamo davvero senza saperlo

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Introduzione – Non è solo “plastica”: cosa stanno facendo al nostro corpo?

Nel nostro immaginario, la plastica è ancora associata a oggetti quotidiani: contenitori, imballaggi, bottiglie, buste della spesa. Ma quando questi materiali si degradano – meccanicamente, termicamente o chimicamente – si trasformano in frammenti microscopici invisibili, che finiscono ovunque: nell’acqua che beviamo, negli alimenti che consumiamo, e persino nell’aria che respiriamo. Si chiamano microplastiche, e stanno entrando silenziosamente nel nostro corpo, ogni giorno.

La loro presenza non è più un’ipotesi. Sono già nei tessuti umani, nei polmoni, nel sangue, nella placenta, nel latte materno e – come dimostrano studi recentissimi – anche nel sistema riproduttivo femminile e nelle arterie. Non parliamo di un rischio teorico, ma di un dato concreto: ci nutriamo di plastica, anche se non la vediamo.

Il vero problema non è solo la presenza fisica di questi frammenti nei nostri organi. È il fatto che non conosciamo ancora con precisione il loro impatto metabolico, infiammatorio e ormonale. Ma ciò che sta emergendo è sufficiente per accendere un campanello d’allarme. La plastica non è un materiale neutro: può trasportare sostanze tossiche, può alterare le funzioni cellulari, può interferire con la nostra biologia in modi che solo ora iniziamo a comprendere.

In questo contesto, l’alimentazione diventa una delle principali vie di ingresso delle microplastiche nel nostro organismo. Non solo per ciò che mangiamo, ma anche per come viene confezionato, trasportato, conservato. Bottiglie in PET, contenitori monouso, pellicole e vaschette possono rilasciare quantità significative di frammenti, soprattutto a contatto con fonti di calore o con alimenti acidi o grassi.

È quindi fondamentale iniziare a leggere la qualità del cibo non solo in termini di nutrienti, ma anche di filiera, materiale di confezionamento ed esposizione a contaminanti ambientali. Perché quello che entra nel nostro piatto ha effetti diretti sul nostro metabolismo, anche quando non lo vediamo.

Microplastiche e fertilità: quando l’ambiente entra nel sistema ormonale

La fertilità è un tema centrale nella salute femminile, e negli ultimi decenni i tassi di concepimento spontaneo sono in progressivo calo, anche tra donne giovani e in buona salute. Le spiegazioni sono complesse e multifattoriali, ma tra le cause più recenti al centro dell’attenzione scientifica c’è l’impatto dell’ambiente sull’equilibrio ormonale e cellulare dell’organismo.

Uno studio condotto dall’Università di Salerno, pubblicato su Ecotoxicology and Environmental Safety, ha recentemente individuato microplastiche nel liquido follicolare ovarico di donne sottoposte a trattamenti per infertilità. In 14 dei 18 campioni analizzati, sono stati trovati frammenti inferiori ai 10 micron, con una concentrazione media superiore a 2.000 particelle per millilitro.
Questo dato è allarmante: il liquido follicolare è a diretto contatto con le cellule uovo. La sua alterazione potrebbe interferire con la maturazione ovocitaria, la fecondazione o l’impianto embrionale.

Ancora più preoccupante è il correlato ormonale emerso dallo studio: la presenza di microplastiche era associata a variazioni nei livelli dell’FSH (ormone follicolo-stimolante), uno degli ormoni chiave nella regolazione della fertilità. Ciò suggerisce che le microplastiche potrebbero non essere semplici “ospiti passivi”, ma interferenti endocrini attivi, capaci di modificare il dialogo ormonale tra cervello e ovaio.

Le ricadute non sono teoriche. Si tratta di un possibile fattore ambientale misurabile, che può contribuire alla sempre più frequente difficoltà nel concepire, e che va considerato nel quadro complesso della salute riproduttiva. Non si tratta di creare allarmismi, ma di riconoscere che l’ambiente in cui viviamo sta entrando nel corpo, in modo spesso invisibile ma concreto.

In questo scenario, l’alimentazione gioca un ruolo chiave. Ridurre l’esposizione a imballaggi plastici, evitare la cottura o la conservazione in materiali sintetici, privilegiare materie prime non trattate e provenienti da filiere controllate non è solo una questione ambientale, ma una scelta di tutela biologica attiva.

Arterie sotto stress: placche aterosclerotiche e contaminazione interna

La presenza di microplastiche nel sistema riproduttivo non è l’unico dato allarmante emerso dalla ricerca recente. Un altro studio, condotto da un team della University of New Mexico in collaborazione con ricercatori italiani, ha dimostrato la presenza di micro- e nanoplastiche anche nelle placche aterosclerotiche, ovvero nei depositi che si formano all’interno delle arterie e che sono coinvolti nei principali eventi cardiovascolari, come infarti e ictus.

I ricercatori hanno analizzato campioni di tessuto carotideo da circa cinquanta pazienti, suddivisi in tre gruppi: soggetti sani, soggetti con placche asintomatiche e soggetti con sintomi o eventi clinici (ictus, cecità temporanea, attacchi ischemici transitori).
I risultati sono stati inequivocabili: le placche aterosclerotiche contenevano microplastiche in concentrazioni fino a 50 volte superiori rispetto ai campioni di controllo, con livelli crescenti nei soggetti con sintomi clinici più gravi.

Questo dato è rilevante, non solo perché conferma la capacità delle microplastiche di depositarsi nei tessuti vascolari, ma anche perché suggerisce una loro possibile influenza sulla stabilità delle placche: una delle cause principali degli eventi trombotici. L’analisi genetica ha infatti rilevato alterazioni nei geni coinvolti nella regolazione dei macrofagi, cellule immunitarie fondamentali nel controllo dell’infiammazione e nella stabilizzazione dei depositi arteriosi.

Non sono state trovate associazioni dirette con i principali marcatori infiammatori, ma il silenziamento di queste vie di controllo suggerisce un effetto “sommerso” delle microplastiche, che potrebbe compromettere i meccanismi di protezione vascolare, aumentando il rischio di complicazioni anche in assenza di sintomi.

Anche in questo caso, il legame con l’alimentazione è tutt’altro che trascurabile: le microplastiche non sono solo nell’ambiente, ma anche nei prodotti che mangiamo e beviamo ogni giorno. Comprendere che ciò che introduciamo nel nostro corpo può incidere sulla nostra salute cardiovascolare è il primo passo per costruire un’alimentazione non solo corretta, ma anche protettiva.

Alimenti e acqua: la plastica nel piatto e nel bicchiere

Quando si parla di alimentazione, spesso ci si concentra solo sul contenuto dell’alimento: le proteine, i grassi, i carboidrati. Ma un aspetto ormai impossibile da ignorare riguarda ciò che è “attorno” al cibo: contenitori, bottiglie, pellicole, involucri. La plastica è ovunque, e sta diventando una componente invisibile ma costante della nostra dieta.

Secondo una review pubblicata su Science of the Total Environment dai ricercatori dell’Università del Texas, non esiste attualmente nessun sistema in grado di eliminare completamente le microplastiche dall’acqua potabile. Nemmeno i migliori impianti di filtrazione oggi disponibili sono in grado di azzerare la presenza di questi frammenti. Questo accade perché i sistemi di depurazione sono progettati per eliminare sostanze solubili, organiche o inorganiche, ma non frammenti solidi di natura plastica, spesso più piccoli di 10 micron.

Questa plastica entra così nelle acque che beviamo, negli alimenti che cuciniamo con quell’acqua, nei prodotti confezionati e pronti al consumo. Ma non solo. Alcune tipologie di cibo, in particolare i grassi e gli alimenti acidi, facilitano il rilascio di microplastiche dai contenitori plastici, soprattutto se sottoposti a calore (come avviene con il riscaldamento in microonde o con liquidi bollenti versati in bicchieri monouso).

Anche l’acqua in bottiglia, spesso considerata un’alternativa “più sicura” rispetto a quella del rubinetto, può contenere quantità significative di microplastiche, in alcuni casi superiori a quelle dell’acqua di rete, proprio a causa del rilascio dai materiali plastici durante il trasporto e lo stoccaggio.

Tutto questo non deve generare allarmismo, ma spingere a una riflessione sul concetto di qualità alimentare: non si limita al valore nutrizionale, ma comprende anche la sicurezza chimica, la purezza e la capacità dell’alimento di non interferire negativamente con il nostro metabolismo.
Anche in questo caso, il lavoro del Biologo Nutrizionista si concentra non solo sul “cosa” mangiare, ma anche sul “come” e “da dove” arriva ciò che mettiamo nel piatto.

Conclusione – Non possiamo controllare tutto, ma possiamo scegliere meglio

Le microplastiche rappresentano una delle sfide più complesse e invisibili del nostro tempo. Sono ormai presenti ovunque: nell’ambiente, negli alimenti, nell’acqua, e – come dimostrano le ricerche più recenti – anche dentro il nostro corpo, nei tessuti riproduttivi, nelle arterie, nel sangue.
La loro presenza non è più in discussione. Resta però ancora in gran parte da chiarire l’entità del loro impatto sulla salute metabolica, ormonale e cardiovascolare.

Di fronte a un quadro ancora in evoluzione, il rischio più grande sarebbe quello di abituarsi all’idea, rassegnarsi alla loro ubiquità e smettere di porre attenzione. Al contrario, proprio perché non possiamo evitarle del tutto, diventa ancora più importante ridurre l’esposizione dove possibile. Non con rigidità o paura, ma con scelte intelligenti, ragionate, quotidiane.

Preferire alimenti non confezionati in plastica, utilizzare contenitori in vetro o acciaio per la conservazione, evitare il riscaldamento di cibo in materiali plastici, limitare il consumo di acqua in bottiglia di plastica e privilegiare filiere trasparenti sono azioni semplici, ma concrete.
E soprattutto, serve una nuova consapevolezza nella scelta delle materie prime: non basta più sapere quante proteine contiene un alimento, ma anche da dove proviene, come è stato conservato, e che effetto ha realmente sul nostro organismo.

Il Biologo Nutrizionista lavora esattamente su questo: aiutare le persone a scegliere ciò che nutre davvero, non solo in termini calorici o teorici, ma in funzione del corpo reale che deve elaborare ogni giorno ciò che riceve.

Non possiamo controllare tutto. Ma possiamo scegliere meglio. E oggi, più che mai, questo fa la differenza tra mangiare e nutrirsi in modo consapevole, responsabile, sostenibile.

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